“Tanta gente è convinta che ci sia nell’aldilà qualche cosa chissà…”
La scommessa cristiana sulla morte: illusione?
Un Passo del 20 Marzo 2009 tutto dedicato alla vita dopo la morte.
Buon ascolto e buon approfondimento.
Audio catechesi
Approfondimenti extra per catechesi
Scommessa sulla morte (Vittorio Messori) 1982
Un libro imprescindibile a cui dobbiamo ampie citazioni e la struttuta portante della catechesi di questo Passo.
http://www.vittoriomessori.it/scommessa-sulla-morte/
INFERNO, PARADISO e PURGATORIO
È una prigione racchiudere il proprio spirito nella piccolezza delle creature è una galera attaccarlo alle fatiche intollerabili che il mondo e la vanità impongono a coloro che s’imbarcano con lui: è un INFERNO precipitarlo nella schiavitù delle passioni e nel tormento dei vizi; ma è un PARADISO e una libertà ammirevole, occupare il proprio spirito in Dio, dove cammina verso il largo, trovando tutto infinitamente grande, la bontà, la bellezza, la dolcezza e applicandosi ora ad una perfezione ora ad un’altra
Giovanni de Bernières-Louvigny (1602-1659) Il Cristiano Interiore III, cap.16
Essere senza Gesù, è un insopportabile INFERNO; essere con Gesù, è un PARADISO di delizie.
Beato Tommaso da Kempis (1379-1471) Imitazione II,8
Dove sei Tu, o Signore, là è il cielo; la morte e l’INFERNO sono dove Tu non sei.
Beato Tommaso da Kempis (1379-1471) Imitazione III,59
Io voglio fare misericordia al mondo e provvedere a tutti i bisogni dell’uomo, ma l’uomo lo ignora e cambia in morte ciò che gli ho dato per vivere, e così egli diviene crudele con se stesso.
Santa Caterina da Siena (1347-1380) Dialogo della Divina Provvidenza, cap.134
È l’anima stessa che si strappa la vita e si distrugge.
Santa Teresa d’Avila (1515-1582) Autobiografia cap.32
Signore tu mi ami molto di più di quanto io ami me stessa, poiché mi liberavi tante volte da quell’ORRENDA PRIGIONE nella quale io ritornavo contro la tua volontà.
Santa Teresa d’Avila (1515-1582) Autobiografia cap.32
O Dio, bontà infinita, tu lasci soltanto coloro che ti lasciano, tu non togli mai i tuoi doni se non quando noi togliamo te dai nostri cuori.
San Francesco di Sales Trattato dell’Amor di Dio II, cap.10
Di grazia, temiamo noi stessi, perché siamo i nostri peggiori nemici! Ma di grazia, non temiamo un Dio d’amore, non temiamo di cadere tra le mani di un Dio la cui natura è la Bontà stessa…la bontà può solo fare bene, e fare del bene quando si lascia fare.
Alessandro Piny (1640-1709) L’Abbandono alla volontà di Dio 1683, Parigi ed.1924, p.14
Non è la “morte” che verrà a prendermi, è il buon Dio. La morte, non è un fantasma, uno spettro orrendo come viene raffigurata nelle immagini. Si dice nel catechismo che la “morte è la separazione dell’anima dal corpo”, è soltanto questo!
Santa Teresa del Bambino Gesù (1873-1897) 1° Maggio 1897
Ammiro la felicità di chi muore e mi stupisce la cecità di coloro i quali si appassionano soltanto della vita presente e della cura del corpo, dei beni e delle occupazioni, che sono tanti ostacoli che impediscono di accudire a Dio.
Jean de Bernières- Louvigny (1602-1659) Il Cristiano interiore, libro I, XVI
Colui che è lui stesso la nostra vita è sceso quaggiù, e si è caricato della nostra morte, e l’ha uccisa con l’abbondanza della sua vita.
Sant’Agostino (354-430) Confessioni IV 12
Il nocciolo della questione non è solo che la vittoria prenda rilievo dentro alla morte, ma che la morte abbia senso dentro al fervore della vita.
Don Luigi Giussani
Quale male mi può colpire, quando morrò per un Dio che è morto per me?
Jean de Bernières- Louvigny (1602-1659) Il Cristiano interiore, libro I, XVI
“O morte, dice il Signore, io sarò la tua morte”, cioè: O anima, figlia mia adottiva, guardaMi e ti perderai di vista, scorri interamente nel mio Essere, vieni a morire in Me perché Io viva in te!…”
Beata Elisabetta della Trinità (1880-1906) Ultimo ritiro, 24 Agosto 1906
Per morire d’amore sull’esempio di Gesù Cristo il quale non accettava la morte come provocata dalla crudeltà degli ebrei, ma come ordinata da suo Padre fin dal primo momento dell’eternità, allo stesso modo dobbiamo abbracciarla amorevolmente, non in quanto cagionata dal corso delle cose naturali, ma in quanto causata dal beneplacito di Dio.
Beato Alain de Solminihac (1593-1659) Consigli 13
Sforzatevi di non temere la morte, abbandonatevi interamente a Dio e accada ciò che accada. Il vostro corpo si è preso gioco di voi così spesso, prendetevi dunque gioco di lui una buona volta per tutte!
Santa Teresa d’Avila (1515-1582) Cammino di Perfezione
Non sarà come andare in terra straniera, ma nel nostro paese, poiché è il paese di Colui che amiamo tanto.
Santa Teresa d’Avila (1515-1582) Cammino di Perfezione
Questa vita passeggera, paragonata alla vita eterna, deve piuttosto essere più chiamata, morte che vita. Il deperimento quotidiano del nostro corpo corruttibile non è infatti, una morte a fuoco lento?
San Gregorio Magno (+604) Omelia 37
Dopo tutto, per me fa lo stesso vivere o morire. Non vedo bene cosa avrò in più dopo la morte di quanto non abbia già in questa vita. Vedrò il buon Dio è vero! Ma per essere con Lui, lo sono già completamente sulla terra.
Santa Teresa del Bambino Gesù (1873-1897) Ultimi colloqui 15 Maggio 1897
Se ciò dipendesse soltanto da Dio, il PARADISO sarebbe senza porte, e colui che volesse entrarvi, potrebbe: in effetti, Egli è tutta misericordia, sempre rivolto verso di noi con le braccia aperte per accoglierci nella Sua Gloria.
Santa Caterina da Genova (1447-1510) Trattato del PURGATORIO, 9
Difficile leggere un piccolo gioiello del Rinascimento italiano, come il Trattato del PURGATORIO di Caterina Fieschi, e non rimanere sorpresi dalla bellezza con la quale la santa i genovese descrive questo stato, che la tradizione cristiana pensa come scorcio di cammino ultraterreno che alcuni compiono, prima di pervenire alla pienezza divina. I purganti hanno la volontà in tutto conforme a quella di Dio, lontana definitivamente dalla colpa, e perciò felici di essere corrisposti dalla bontà divina. La rappresentazione data è di anime oramai protese per sempre verso il loro bene, gioiose di poter assecondare definitivamente l’istinto naturale d’incontrare Dio. Caterina apre il Trattato dandoci un’immagine viva di persone libere da loro stesse: «I purganti non sono nella condizione di voltarsi indietro e dire: “ho commesso certi peccati”, per cui merito di stare qui. E neppure dire: “non vorrei averli commessi, così ora andrei in PARADISO”. Né ancora: “lui uscirà di qui prima di me o io ne uscirò prima di lui”. Non sono in grado di tenere alcuna memoria propria, né in bene né in male, né su altri: sono così felici di appartenere al piano di Dio, che non hanno pensieri per se stessi […] non percepiscono la pena e il bene che ciascuno vive dentro se stesso – del resto, se riuscissero a percepirli, non potrebbero più prender parte alla carità pura». Questo radicale oblio di sé, tradotto nella perdita di memoria propria, che strappa a se stessi, è dovuto alla carità pura, alla felicità di appartenere a Dio, che assorbe ogni minimo spazio del proprio essere. Il non saper più nulla di sé finisce per dissolvere la stessa conoscenza dei peccati commessi, ogni desiderio di essere altrove rispetto a quello che si sta vivendo, ogni possibilità di guardare all’altro egocentricamente. Gli spirituali hanno prospettato simili caratteristiche nel processo di maturazione terreno di una risposta coerente e fedele all’amore divino. L’annichilimento delle operazioni della memoria e l’elevazione di questa alla somma speranza di Dio incomprensibile, a cui invita Giovanni della Croce nella notte attiva dello spirito, dice che la natura della vita teologale è unica in terra e in cielo, e Dio inizia a compierla da subito non appena la persona gli dà mano libera.
Semi di Contemplazione n° 44 Dicembre 2003
Io conosco dei malinconici (=depressi) così umili e preoccupati di non offendere Dio, che versando fiumi di lacrime in segreto, sono scrupolosi nell’obbedire e sopportano quest’infermità come altri sopportano le loro, anche se il loro martirio è più grande, così essi riceveranno più gloria e facendo quaggiù il loro PURGATORIO non ne conosceranno nell’aldilà.
Teresa d’Avila (1575-1582) Fondazioni
BENEDETTO XVI
UDIENZA GENERALE
Aula Paolo VI
Mercoledì, 2 novembre 2011
La Commemorazione di tutti i fedeli defunti
Cari fratelli e sorelle!
Dopo avere celebrato la Solennità di Tutti i Santi, la Chiesa ci invita oggi a commemorare tutti i fedeli defunti, a volgere il nostro sguardo a tanti volti che ci hanno preceduto e che hanno concluso il cammino terreno. Nell’Udienza di questo giorno, allora, vorrei proporvi alcuni semplici pensieri sulla realtà della morte, che per noi cristiani è illuminata dalla Risurrezione di Cristo, e per rinnovare la nostra fede nella vita eterna.
Come già dicevo ieri all’Angelus, in questi giorni ci si reca al cimitero per pregare per le persone care che ci hanno lasciato, quasi un andare a visitarle per esprimere loro, ancora una volta, il nostro affetto, per sentirle ancora vicine, ricordando anche, in questo modo, un articolo del Credo: nella comunione dei santi c’è uno stretto legame tra noi che camminiamo ancora su questa terra e tanti fratelli e sorelle che hanno già raggiunto l’eternità.
Da sempre l’uomo si è preoccupato dei suoi morti e ha cercato di dare loro una sorta di seconda vita attraverso l’attenzione, la cura, l’affetto. In un certo modo si vuole conservare la loro esperienza di vita; e, paradossalmente, come essi hanno vissuto, che cosa hanno amato, che cosa hanno temuto, che cosa hanno sperato e che cosa hanno detestato, noi lo scopriamo proprio dalle tombe, davanti alle quali si affollano ricordi. Esse sono quasi uno specchio del loro mondo.
Perché è così? Perché, nonostante la morte sia spesso un tema quasi proibito nella nostra società, e vi sia il tentativo continuo di levare dalla nostra mente il solo pensiero della morte, essa riguarda ciascuno di noi, riguarda l’uomo di ogni tempo e di ogni spazio. E davanti a questo mistero tutti, anche inconsciamente, cerchiamo qualcosa che ci inviti a sperare, un segnale che ci dia consolazione, che si apra qualche orizzonte, che offra ancora un futuro. La strada della morte, in realtà, è una via della speranza e percorrere i nostri cimiteri, come pure leggere le scritte sulle tombe è compiere un cammino segnato dalla speranza di eternità.
Ma ci chiediamo: perché proviamo timore davanti alla morte? Perché l’umanità, in una sua larga parte, mai si è rassegnata a credere che al di là di essa non vi sia semplicemente il nulla? Direi che le risposte sono molteplici: abbiamo timore davanti alla morte perché abbiamo paura del nulla, di questo partire verso qualcosa che non conosciamo, che ci è ignoto. E allora c’è in noi un senso di rifiuto perché non possiamo accettare che tutto ciò che di bello e di grande è stato realizzato durante un’intera esistenza, venga improvvisamente cancellato, cada nell’abisso del nulla. Soprattutto noi sentiamo che l’amore richiama e chiede eternità e non è possibile accettare che esso venga distrutto dalla morte in un solo momento.
Ancora, abbiamo timore davanti alla morte perché, quando ci troviamo verso la fine dell’esistenza, c’è la percezione che vi sia un giudizio sulle nostre azioni, su come abbiamo condotto la nostra vita, soprattutto su quei punti d’ombra che, con abilità, sappiamo spesso rimuovere o tentiamo di rimuovere dalla nostra coscienza. Direi che proprio la questione del giudizio è spesso sottesa alla cura dell’uomo di tutti i tempi per i defunti, all’attenzione verso le persone che sono state significative per lui e che non gli sono più accanto nel cammino della vita terrena. In un certo senso i gesti di affetto, di amore che circondano il defunto, sono un modo per proteggerlo nella convinzione che essi non rimangano senza effetto sul giudizio. Questo lo possiamo cogliere nella maggior parte delle culture che caratterizzano la storia dell’uomo.
Oggi il mondo è diventato, almeno apparentemente, molto più razionale, o meglio, si è diffusa la tendenza a pensare che ogni realtà debba essere affrontata con i criteri della scienza sperimentale, e che anche alla grande questione della morte si debba rispondere non tanto con la fede, ma partendo da conoscenze sperimentabili, empiriche. Non ci si rende sufficientemente conto, però, che proprio in questo modo si è finiti per cadere in forme di spiritismo, nel tentativo di avere un qualche contatto con il mondo al di là della morte, quasi immaginando che vi sia una realtà che, alla fine, è sarebbe una copia di quella presente.
Cari amici, la solennità di tutti i Santi e la Commemorazione di tutti i fedeli defunti ci dicono che solamente chi può riconoscere una grande speranza nella morte, può anche vivere una vita a partire dalla speranza. Se noi riduciamo l’uomo esclusivamente alla sua dimensione orizzontale, a ciò che si può percepire empiricamente, la stessa vita perde il suo senso profondo. L’uomo ha bisogno di eternità ed ogni altra speranza per lui è troppo breve, è troppo limitata. L’uomo è spiegabile solamente se c’è un Amore che superi ogni isolamento, anche quello della morte, in una totalità che trascenda anche lo spazio e il tempo. L’uomo è spiegabile, trova il suo senso più profondo, solamente se c’è Dio. E noi sappiamo che Dio è uscito dalla sua lontananza e si è fatto vicino, è entrato nella nostra vita e ci dice: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me anche se muore vivrà; chiunque vive e crede in me non morirà in eterno» (Gv 11,25-26).
Pensiamo un momento alla scena del Calvario e riascoltiamo le parole che Gesù, dall’alto della Croce, rivolge al malfattore crocifisso alla sua destra: «In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso» (Lc 23,43). Pensiamo ai due discepoli sulla strada di Emmaus, quando, dopo aver percorso un tratto di strada con Gesù Risorto, lo riconoscono e partono senza indugio verso Gerusalemme per annunciare la Risurrezione del Signore (cfr Lc 24,13-35). Alla mente ritornano con rinnovata chiarezza le parole del Maestro: «Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore. Se no non vi avrei mai detto: “Vado a prepararvi un posto”?» (Gv 14,1-2). Dio si è veramente mostrato, è diventato accessibile, ha tanto amato il mondo «da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna» (Gv 3,16), e nel supremo atto di amore della Croce, immergendosi nell’abisso della morte, l’ha vinta, è risorto ed ha aperto anche a noi le porte dell’eternità. Cristo ci sostiene attraverso la notte della morte che Egli stesso ha attraversato; è il Buon Pastore, alla cui guida ci si può affidare senza alcuna paura, poiché Egli conosce bene la strada, anche attraverso l’oscurità.
Ogni domenica, recitando il Credo, noi riaffermiamo questa verità. E nel recarci ai cimiteri a pregare con affetto e con amore per i nostri defunti, siamo invitati, ancora una volta, a rinnovare con coraggio e con forza la nostra fede nella vita eterna, anzi a vivere con questa grande speranza e testimoniarla al mondo: dietro il presente non c’è il nulla. E proprio la fede nella vita eterna dà al cristiano il coraggio di amare ancora più intensamente questa nostra terra e di lavorare per costruirle un futuro, per darle una vera e sicura speranza. Grazie.





