Audio Omelie
BENEDETTO XVI
UDIENZA GENERALE
Aula Paolo VI
Mercoledì, 4 luglio 2007
San Basilio
I: Vita e scritti
Cari fratelli e sorelle,
oggi vogliamo ricordare uno dei grandi Padri della Chiesa, san Basilio, definito dai testi liturgici bizantini un «luminare della Chiesa». Fu un grande Vescovo del IV secolo, a cui guarda con ammirazione tanto la Chiesa d’Oriente quanto quella d’Occidente per la santità della vita, per l’eccellenza della dottrina e per la sintesi armonica di doti speculative e pratiche. Egli nacque attorno al 330 in una famiglia di santi, «vera Chiesa domestica», che viveva in un clima di profonda fede. Compì gli studi presso i migliori maestri di Atene e di Costantinopoli. Insoddisfatto dei suoi successi mondani, e accortosi di aver sciupato molto tempo nelle vanità, egli stesso confessa: «Un giorno, come svegliandomi da un sonno profondo, mi rivolsi alla mirabile luce della verità del Vangelo…, e piansi sulla mia miserabile vita» (cfr Ep. 223,2). Attirato da Cristo, cominciò a guardare verso di Lui e ad ascoltare Lui solo (cfr Regole morali 80,1). Con determinazione si dedicò alla vita monastica nella preghiera, nella meditazione delle Sacre Scritture e degli scritti dei Padri della Chiesa, e nell’esercizio della carità (cfr Epp. 2 e 22), seguendo anche l’esempio della sorella, santa Macrina, che già viveva nell’ascetismo monacale. Fu poi ordinato sacerdote e infine, nel 370, Vescovo di Cesarea di Cappadocia, nell’attuale Turchia.
Mediante la predicazione e gli scritti svolse un’intensa attività pastorale, teologica e letteraria. Con saggio equilibrio seppe unire insieme il servizio alle anime e la dedizione alla preghiera e alla meditazione nella solitudine. Avvalendosi della sua personale esperienza, favorì la fondazione di molte «fraternità» o comunità di cristiani consacrati a Dio, che visitava frequentemente (cfr Gregorio Nazianzeno, Discorso 43,29 in lode di Basilio). Con la parola e con gli scritti, molti dei quali sono giunti fino a noi, li esortava a vivere e a progredire nella perfezione (cfr Regole brevi, Proemio). Alle sue opere hanno attinto anche vari legislatori del monachesimo antico, tra cui san Benedetto, che considerava Basilio come il suo maestro (cfr Regola 73,5). In realtà, san Basilio ha creato un monachesimo molto particolare: non chiuso alla comunità della Chiesa locale, ma ad essa aperto. I suoi monaci facevano parte della Chiesa locale, ne erano il nucleo animatore che, precedendo gli altri fedeli nella sequela di Cristo e non solo nella fede, mostrava la ferma adesione a Lui – l’amore per Lui – soprattutto in opere di carità. Questi monaci, che avevano scuole ed ospedali, erano al servizio dei poveri ed hanno così mostrato la vita cristiana nella sua completezza. Il Servo di Dio Giovanni Paolo II, parlando del monachesimo, ha scritto: «Si ritiene da molti che quella struttura capitale della vita della Chiesa che è il monachesimo sia stata posta, per tutti i secoli, principalmente da san Basilio; o che, almeno, non sia stata definita nella sua natura più propria senza il suo decisivo contributo» (Lettera Apostolica Patres Ecclesiae, 2).
Come Vescovo e Pastore della sua vasta Diocesi, Basilio si preoccupò costantemente delle difficili condizioni materiali in cui vivevano i fedeli; denunciò con fermezza i mali; si impegnò a favore dei più poveri ed emarginati; intervenne anche presso i governanti per alleviare le sofferenze della popolazione, soprattutto in momenti di calamità; vigilò per la libertà della Chiesa, contrapponendosi anche ai potenti per difendere il diritto di professare la vera fede (cfr Gregorio Nazianzeno, Discorso 43,48-51). A Dio, che è amore e carità, Basilio rese una valida testimonianza con la costruzione di vari ospizi per i bisognosi (cfr Basilio, Ep. 94), quasi una città della misericordia, che da lui prese il nome di Basiliade (cfr Sozomeno, Storia Eccl. 6,34). Essa sta alle origini delle moderne istituzioni ospedaliere di ricovero e cura dei malati.
Consapevole che «la liturgia è il culmine verso cui tende l’azione della Chiesa, e insieme la fonte da cui promana tutta la sua virtù» (Sacrosanctum Concilium, 10), Basilio, pur preoccupato di realizzare la carità che è il contrassegno della fede, fu anche un sapiente «riformatore liturgico» (cfr Gregorio Nazianzeno, Discorso 43,34). Ci ha lasciato infatti una grande preghiera eucaristica [o anafora] che da lui prende nome, e ha dato un ordinamento fondamentale alla preghiera e alla salmodia: per suo impulso il popolo amò e conobbe i Salmi, e si recava a pregarli anche nella notte (cfr Basilio, Omelie sui Salmi 1,1-2). E così vediamo come liturgia, adorazione, preghiera vadano insieme con la carità, si condizionino reciprocamente.
Con zelo e coraggio Basilio seppe opporsi agli eretici, i quali negavano che Gesù Cristo fosse Dio come il Padre (cfr Basilio, Ep. 9,3; Ep. 52,1-3; Contro Eunomio 1,20). Similmente, contro coloro che non accettavano la divinità dello Spirito Santo, egli sostenne che anche lo Spirito è Dio, e «deve essere con il Padre e il Figlio connumerato e conglorificato» (cfr Lo Spirito Santo). Per questo Basilio è uno dei grandi Padri che hanno formulato la dottrina sulla Trinità: l’unico Dio, proprio perchè è Amore, è un Dio in tre Persone, le quali formano l’unità più profonda che esista, l’unità divina.
Nel suo amore per Cristo e per il suo Vangelo, il grande Cappadoce si impegnò anche a ricomporre le divisioni all’interno della Chiesa (cfr Epp. 70 e 243), adoperandosi perché tutti si convertissero a Cristo e alla sua Parola (cfr Il giudizio 4), forza unificante, alla quale tutti i credenti devono ubbidire (cfr ibid., 1-3).
In conclusione, Basilio si spese completamente nel fedele servizio alla Chiesa e nel multiforme esercizio del ministero episcopale. Secondo il programma da lui stesso tracciato, egli divenne «apostolo e ministro di Cristo, dispensatore dei misteri di Dio, araldo del regno, modello e regola di pietà, occhio del corpo della Chiesa, pastore delle pecore di Cristo, medico pietoso, padre e nutrice, cooperatore di Dio, agricoltore di Dio, costruttore del tempio di Dio» (cfr Regole morali 80,11-20).
E’ questo il programma che il santo Vescovo consegna agli annunciatori della Parola – ieri come oggi –, un programma che egli stesso si impegnò generosamente a mettere in pratica. Nel 379 Basilio, non ancora cinquantenne, consumato dalle fatiche e dall’ascesi, ritornò a Dio, «nella speranza della vita eterna, attraverso Gesù Cristo Signore nostro» (Il Battesimo 1,2,9). Egli fu un uomo che visse veramente con lo sguardo fisso a Cristo, un uomo dell’amore per il prossimo. Pieno della speranza e della gioia della fede, Basilio ci mostra come essere realmente cristiani.
BENEDETTO XVI
UDIENZA GENERALE
Aula Paolo VI
Mercoledì, 1° agosto 2007
San Basilio
II: La dottrina
Cari fratelli e sorelle,
dalla vita e dagli scritti di san Basilio – era questo l’argomento della nostra precedente catechesi – possiamo ricavare alcuni messaggi importanti e validi anche per noi oggi.
Anzitutto il richiamo al mistero di Dio, che resta il riferimento più significativo e vitale per l’uomo. Il Padre è «il principio di tutto e la causa dell’essere di ciò che esiste, la radice dei viventi» (Om. 15,2 sulla fede), e soprattutto è «il Padre del nostro Signore Gesù Cristo» (Anafora di san Basilio). Risalendo a Dio attraverso le creature, noi «prendiamo coscienza della sua bontà e della sua saggezza» (Basilio, Contro Eunomio 1,14). Il Figlio è l’«immagine della bontà del Padre e sigillo di forma a Lui uguale» (cfr Anafora di san Basilio). Con la sua obbedienza e la sua passione il Verbo incarnato ha realizzato la missione di Redentore dell’uomo (cfr Basilio, Omelie sui Salmi 48,8; cfr anche Il Battesimo 1,2,17).
Nell’insegnamento di Basilio trova ampio rilievo l’opera dello Spirito Santo. «Da Lui, il Cristo, rifulse lo Spirito Santo: lo Spirito della verità, il dono dell’adozione filiale, il pegno dell’eredità futura, la primizia dei beni eterni, la potenza vivificante, la sorgente della santificazione» (cfr Anafora di san Basilio). Lo Spirito anima la Chiesa, la riempie dei suoi doni, la rende santa. La luce splendida del mistero divino si riverbera sull’uomo, immagine di Dio, e ne innalza la dignità. Guardando a Cristo, si capisce appieno la dignità dell’uomo. Basilio esclama: «[Uomo], renditi conto della tua grandezza considerando il prezzo versato per te: guarda il prezzo del tuo riscatto, e comprendi la tua dignità!» (Omelie sui Salmi 48,8). In particolare il cristiano, vivendo in conformità al Vangelo, riconosce che gli uomini sono tutti fratelli tra di loro; che la vita è un’amministrazione dei beni ricevuti da Dio, per cui ognuno è responsabile di fronte agli altri, e chi è ricco deve essere come un esecutore degli ordini di Dio benefattore (cfr Omelia 4 sull’ elemosina e Omelia 6 sull’avarizia). Tutti dobbiamo aiutarci, e cooperare come le membra di un corpo (Ep. 203,3).
Le opere di carità sono necessarie per manifestare la propria fede: per mezzo di esse gli uomini servono Dio stesso (cfr Regole morali 5,2). A questo proposito, alcuni testi delle omelie basiliane restano anche oggi coraggiosi ed esemplari: «“Vendi quello che hai e dallo ai poveri” (Mt 19,22) …: perché, anche se non hai ucciso o commesso adulterio o rubato o detto falsa testimonianza, non ti serve a nulla se non fai anche il resto: solo in tale modo potrai entrare nel regno di Dio» (Omelia contro i ricchi 1). Chi infatti, secondo il comandamento di Dio, vuole amare il prossimo come se stesso, «non deve possedere niente di più di quello che possiede il suo prossimo» (ibid.). «Sei povero?», domandava; «l’altro è più povero di te. Tu hai il pane per dieci giorni, lui per uno soltanto. Ciò che t’avanza ed abbonda, questo tu – come persona buona e benevola – dividilo equamente col bisognoso. Non dubitare di donare del tuo poco; non anteporre il tuo vantaggio all’emergenza pubblica! Se il tuo cibo è ridotto ad un unico pane e davanti alla porta sosta un mendicante, tira fuori dalla tua dispensa quell’unico pane e, postolo sulle mani e guardando al cielo, di’ con voce lamentosa e amorevole: “Ho solo quest’unico pane che vedi, o Signore, e il pericolo della fame evidentemente incombe. Pongo però davanti a me il tuo comandamento e del mio poco offro una parte al fratello affamato. Ora tu stesso vieni in aiuto del tuo servo esposto al rischio. Conosco la tua bontà, confido nella tua potenza”» (Omelia in tempo di fame e di siccità 6).
Ben meritato è dunque l’elogio fatto da Gregorio di Nazianzo: «Basilio ci persuase che noi, essendo uomini, non dobbiamo disprezzare gli uomini, né oltraggiare Cristo, capo comune di tutti, con la nostra disumanità verso gli uomini; piuttosto, nelle disgrazie degli altri, dobbiamo beneficare noi stessi, e fare prestito a Dio della nostra misericordia, perché abbiamo bisogno di misericordia» (Discorso 43,63). Parole, queste, ancora molto attuali. Vediamo come san Basilio è realmente uno dei Padri della Dottrina sociale della Chiesa.
Basilio, inoltre, ci ricorda che per tenere vivo in noi l’amore verso Dio e verso gli uomini è necessaria l’Eucaristia, cibo adeguato per i battezzati, capace di alimentare le nuove energie derivanti dal Battesimo (cfr Il Battesimo 1,3,1). E’ motivo di immensa gioia poter partecipare all’Eucaristia (Regole morali 21,3), istituita «per custodire incessantemente il ricordo di Colui che è morto e risorto per noi» (Regole morali 80,22). L’Eucaristia, immenso dono di Dio, tutela in ciascuno di noi il ricordo del sigillo battesimale e consente di vivere in pienezza e fedeltà la grazia del Battesimo. Per questo il santo Vescovo raccomanda la comunione frequente, anche quotidiana: «Comunicare anche ogni giorno ricevendo il santo corpo e sangue di Cristo è cosa buona e utile; poiché Egli stesso dice chiaramente: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna” (Gv 6,54). Chi dunque dubiterà che comunicare continuamente alla vita non sia vivere in pienezza?» (Ep. 93). L’Eucaristia, in una parola, ci è necessaria per accogliere in noi la vera vita, la vita eterna (cfr Regole mortali 21).
Infine, Basilio si interessò naturalmente anche di quella porzione eletta del popolo di Dio che sono i giovani, il futuro della società. A loro indirizzò un Discorso sul modo di trarre profitto dalla cultura pagana del tempo. Con molto equilibrio e apertura, egli riconosce che nella letteratura classica, greca e latina, si trovano esempi di vita retta. Questi esempi possono essere utili per il giovane cristiano alla ricerca della verità, del retto modo di vivere (cfr Discorso ai giovani 3). Pertanto bisogna prendere dai testi degli autori classici quanto è conveniente e conforme alla verità: così con atteggiamento critico e aperto – si tratta infatti di un vero e proprio «discernimento» – i giovani crescono nella libertà. Con la celebre immagine delle api, che colgono dai fiori solo ciò che serve per il miele, Basilio raccomanda: «Come le api sanno trarre dai fiori il miele, a differenza degli altri animali che si limitano al godimento del profumo e del colore dei fiori, così anche da questi scritti … si può ricavare qualche giovamento per lo spirito. Dobbiamo utilizzare quei libri seguendo in tutto l’esempio delle api. Esse non vanno indistintamente su tutti i fiori, e neppure cercano di portar via tutto da quelli sui quali si posano, ma ne traggono solo quanto serve alla lavorazione del miele, e tralasciano il resto. E noi, se siamo saggi, prenderemo da quegli scritti quanto si adatta a noi, ed è conforme alla verità, e lasceremo andare il resto» (Disc. ai giovani 4). Basilio, soprattutto, raccomanda ai giovani di crescere nelle virtù: «Mentre gli altri beni … passano da questo a quello come nel gioco dei dadi, soltanto la virtù è un bene inalienabile e rimane durante la vita e dopo la morte» (Disc. ai giovani 5).
Cari fratelli e sorelle, mi sembra si possa dire che questo Padre di un tempo lontano parla anche a noi e ci dice delle cose importanti. Anzitutto, questa partecipazione attenta, critica e creativa alla cultura contemporanea. Poi, la responsabilità sociale: questo è un tempo nel quale, in un mondo globalizzato, anche i popoli geograficamente distanti sono realmente il nostro prossimo. Quindi, l’amicizia con Cristo, il Dio dal volto umano. E, infine, la conoscenza e la riconoscenza verso il Dio Creatore, Padre di noi tutti: solo aperti a questo Dio, Padre comune, possiamo costruire un mondo giusto e fraterno.
BENEDETTO XVI
UDIENZA GENERALE
Aula Paolo VI
Mercoledì, 8 agosto 2007
San Gregorio di Nazianzo
I: Vita e scritti
Cari fratelli e sorelle,
mercoledì scorso ho parlato di un grande maestro della fede, il Padre della Chiesa san Basilio. Oggi vorrei parlare del suo amico Gregorio di Nazianzo, anche lui, come Basilio, originario della Cappadocia. Illustre teologo, oratore e difensore della fede cristiana nel IV secolo, fu celebre per la sua eloquenza, ed ebbe anche, come poeta, un’anima raffinata e sensibile.
Gregorio nacque da una nobile famiglia. La madre lo consacrò a Dio fin dalla nascita, avvenuta intorno al 330. Dopo la prima educazione familiare, frequentò le più celebri scuole della sua epoca: fu dapprima a Cesarea di Cappadocia, dove strinse amicizia con Basilio, futuro Vescovo di quella città, e sostò poi in altre metropoli del mondo antico, come Alessandria d’Egitto e soprattutto Atene, dove incontrò di nuovo Basilio (cfr Discorso 43,14-24). Rievocandone l’amicizia, Gregorio scriverà più tardi: «Allora non solo io mi sentivo preso da venerazione verso il mio grande Basilio per la serietà dei suoi costumi e per la maturità e saggezza dei suoi discorsi, ma inducevo a fare altrettanto anche altri, che ancora non lo conoscevano … Ci guidava la stessa ansia di sapere … Questa era la nostra gara: non chi fosse il primo, ma chi permettesse all’altro di esserlo. Sembrava che avessimo un’unica anima in due corpi» (Discorso 43,16.20). Sono parole che rappresentano un po’ l’autoritratto di quest’anima nobile. Ma si può anche immaginare che quest’uomo, che era fortemente proiettato oltre i valori terreni, abbia sofferto molto per le cose di questo mondo.
Tornato a casa, Gregorio ricevette il Battesimo e si orientò verso la vita monastica: la solitudine, la meditazione filosofica e spirituale lo affascinavano. Egli stesso scriverà: «Nulla mi sembra più grande di questo: far tacere i propri sensi, uscire dalla carne del mondo, raccogliersi in se stesso, non occuparsi più delle cose umane, se non di quelle strettamente necessarie; parlare con se stesso e con Dio, condurre una vita che trascende le cose visibili; portare nell’anima immagini divine sempre pure, senza mescolanza di forme terrene ed erronee; essere veramente uno specchio immacolato di Dio e delle cose divine, e divenirlo sempre più, prendendo luce da luce …; godere, nella speranza presente, il bene futuro, e conversare con gli angeli; avere già lasciato la terra, pur stando in terra, trasportati in alto con lo spirito» (Discorso 2,7).
Come confida nella sua autobiografia (cfr Poesie[storiche] 2,1,11 sulla sua vita 340-349), ricevette l’ordinazione presbiterale con una certa riluttanza, perché sapeva che poi avrebbe dovuto fare il Pastore, occuparsi degli altri, delle loro cose, quindi non più così raccolto nella pura meditazione: Tuttavia egli poi accettò questa vocazione e assunse il ministero pastorale in piena obbedienza, accettando, come spesso gli accadde nella vita, di essere portato dalla Provvidenza là dove non voleva andare (cfr Gv 21,18). Nel 371 il suo amico Basilio, Vescovo di Cesarea, contro il desiderio dello stesso Gregorio, lo volle consacrare Vescovo di Sasima, un paese strategicamente importante della Cappadocia. Egli però, per varie difficoltà, non ne prese mai possesso, e rimase invece nella città di Nazianzo.
Verso il 379, Gregorio fu chiamato a Costantinopoli, la capitale, per guidare la piccola comunità cattolica fedele al Concilio di Nicea e alla fede trinitaria. La maggioranza aderiva invece all’arianesimo, che era «politicamente corretto» e considerato politicamente utile dagli imperatori. Così egli si trovò in condizioni di minoranza, circondato da ostilità. Nella chiesetta dell’Anastasis pronunciò cinque Discorsi teologici (27-31) proprio per difendere e rendere anche intelligibile la fede trinitaria. Sono discorsi rimasti celebri per la sicurezza della dottrina, l’abilità del ragionamento, che fa realmente capire che questa è la logica divina. E anche lo splendore della forma li rende oggi affascinanti. Gregorio ricevette, a motivo di questi discorsi, l’appellativo di «teologo». Così viene chiamato nella Chiesa ortodossa: il «teologo». E questo perché la teologia per lui non è una riflessione puramente umana, o ancor meno frutto soltanto di complicate speculazioni, ma deriva da una vita di preghiera e di santità, da un dialogo assiduo con Dio. E proprio così fa apparire alla nostra ragione la realtà di Dio, il mistero trinitario. Nel silenzio contemplativo, intriso di stupore davanti alle meraviglie del mistero rivelato, l’anima accoglie la bellezza e la gloria divina.
Mentre partecipava al secondo Concilio Ecumenico del 381, Gregorio fu eletto Vescovo di Costantinopoli, e assunse la presidenza del Concilio. Ma subito si scatenò contro di lui una forte opposizione, finché la situazione divenne insostenibile. Per un’anima così sensibile queste inimicizie erano insopportabili. Si ripeteva quello che Gregorio aveva già lamentato precedentemente con parole accorate: «Abbiamo diviso Cristo, noi che tanto amavamo Dio e Cristo! Abbiamo mentito gli uni agli altri a motivo della Verità, abbiamo nutrito sentimenti di odio a causa dell’Amore, ci siamo divisi l’uno dall’altro!» (Discorso 6,3). Si giunse così, in un clima di tensione, alle sue dimissioni. Nella cattedrale affollatissima Gregorio pronunciò un discorso di addio di grande effetto e dignità (cfr Discorso 42). Concludeva il suo accorato intervento con queste parole: «Addio, grande città, amata da Cristo … Figli miei, vi supplico, custodite il deposito [della fede] che vi è stato affidato (cfr 1 Tm 6,20), ricordatevi delle mie sofferenze (cfr Col 4,18). Che la grazia del nostro Signore Gesù Cristo sia con tutti voi» (cfr Discorso 42,27).
Ritornò a Nazianzo, e per circa due anni si dedicò alla cura pastorale di quella comunità cristiana. Poi si ritirò definitivamente in solitudine nella vicina Arianzo, la sua terra natale, dedicandosi allo studio e alla vita ascetica. In questo periodo compose la maggior parte della sua opera poetica, soprattutto autobiografica: le Poesie sulla sua vita, una rilettura in versi del proprio cammino umano e spirituale, cammino esemplare di un cristiano sofferente, di un uomo di grande interiorità in un mondo pieno di conflitti. È un uomo che ci fa sentire il primato di Dio, e perciò parla anche a noi, a questo nostro mondo: senza Dio l’uomo perde la sua grandezza, senza Dio non c’è vero umanesimo. Ascoltiamo perciò questa voce e cerchiamo di conoscere anche noi il volto di Dio. In una delle sue poesie aveva scritto, rivolgendosi a Dio: «Sii benigno, Tu, l’Aldilà di tutto» (Poesie [dogmatiche] 1,1,29). E nel 390 Dio accoglieva tra le sue braccia questo servo fedele, che con acuta intelligenza l’aveva difeso negli scritti, e che con tanto amore l’aveva cantato nelle sue poesie.
BENEDETTO XVI
UDIENZA GENERALE
Aula Paolo VI
Mercoledì, 22 agosto 2007
San Gregorio di Nazianzo
II: La dottrina
Cari fratelli e sorelle,
nella serie di ritratti di grandi Padri e Dottori della Chiesa che cerco di offrire in queste catechesi, ho parlato la scorsa volta di san Gregorio Nazianzeno, Vescovo del IV secolo; vorrei ora completare questo ritratto. Cercheremo oggi di raccogliere alcuni suoi insegnamenti. Riflettendo sulla missione che Dio gli aveva affidato, san Gregorio Nazianzeno concludeva: «Sono stato creato per ascendere fino a Dio con le mie azioni» (Discorso 14,6 sull’amore per i poveri). Di fatto, egli mise al servizio di Dio e della Chiesa il suo talento di scrittore e di oratore. Compose numerosi discorsi, varie omelie e panegirici, molte lettere e opere poetiche (quasi 18.000 versi!): un’attività veramente prodigiosa. Aveva compreso che questa era la missione che Dio gli aveva affidato: «Servo della Parola, io aderisco al ministero della Parola; che io non acconsenta mai di trascurare questo bene. Questa vocazione io l’apprezzo e la gradisco, ne traggo più gioia che da tutte le altre cose messe insieme» (Discorso 6,5; cfr anche Discorso 4,10).
Il Nazianzeno era un uomo mite, e nella sua vita cercò sempre di fare opera di pace nella Chiesa del suo tempo, lacerata da discordie e da eresie. Con audacia evangelica si sforzò di superare la propria timidezza per proclamare la verità della fede. Sentiva profondamente l’anelito di avvicinarsi a Dio, di unirsi a Lui. È quanto esprime egli stesso in una sua poesia, dove scrive: tra i «grandi flutti del mare della vita, / di qua e di là da impetuosi venti agitato, /… / una cosa sola m’era cara, sola mia ricchezza, / conforto e oblio delle fatiche, / la luce della Santa Trinità» (Poesie [storiche] 2,1,15).
Gregorio fece risplendere la luce della Trinità, difendendo la fede proclamata nel Concilio di Nicea: un solo Dio in tre Persone uguali e distinte – Padre, Figlio e Spirito Santo –, «triplice luce che in unico / splendor s’aduna» (ibid. 2,1,32). Quindi, afferma sempre Gregorio sulla scorta di san Paolo (1 Cor 8,6), «per noi vi è un Dio, il Padre, da cui è tutto; un Signore, Gesù Cristo, per mezzo di cui è tutto; e uno Spirito Santo, in cui è tutto» (Discorso 39,12).
Gregorio ha messo in grande rilievo la piena umanità di Cristo: per redimere l’uomo nella sua totalità di corpo, anima e spirito, Cristo assunse tutte le componenti della natura umana, altrimenti l’uomo non sarebbe stato salvato. Contro l’eresia di Apollinare, il quale sosteneva che Gesù Cristo non aveva assunto un’anima razionale, Gregorio affronta il problema alla luce del mistero della salvezza: «Ciò che non è stato assunto, non è stato guarito» (Ep. 101,32), e se Cristo non fosse stato «dotato di intelletto razionale, come avrebbe potuto essere uomo?» (Ep. 101,34). Era proprio il nostro intelletto, la nostra ragione che aveva e ha bisogno della relazione, dell’incontro con Dio in Cristo. Diventando uomo, Cristo ci ha dato la possibilità di diventare a nostra volta come Lui. Il Nazianzeno esorta: «Cerchiamo di essere come Cristo, poiché anche Cristo è divenuto come noi: di diventare dèi per mezzo di Lui, dal momento che Lui stesso, per il nostro tramite, è divenuto uomo. Prese il peggio su di sé, per farci dono del meglio» (Discorso 1,5).
Maria, che ha dato la natura umana a Cristo, è vera Madre di Dio (Theotókos: cfr Ep. 101,16), e in vista della sua altissima missione è stata «pre-purificata» (Discorso 38,13; quasi un lontano preludio del dogma dell’Immacolata Concezione). Maria è proposta come modello ai cristiani, soprattutto alle vergini, e come soccorritrice da invocare nelle necessità (cfr Discorso 24,11).
Gregorio ci ricorda che, come persone umane, dobbiamo essere solidali gli uni verso gli altri. Scrive: «“Noi siamo tutti una sola cosa nel Signore” (cfr Rm 12,5), ricchi e poveri, schiavi e liberi, sani e malati; e unico è il capo da cui tutto deriva: Gesù Cristo. E come fanno le membra di un solo corpo, ciascuno si occupi di ciascuno, e tutti di tutti». Poi, riferendosi ai malati e alle persone in difficoltà, conclude: «Questa è l’unica salvezza per la nostra carne e la nostra anima: la carità verso di loro» (Discorso 14,8 sull’amore per i poveri). Gregorio sottolinea che l’uomo deve imitare la bontà e l’amore di Dio, e quindi raccomanda: «Se sei sano e ricco, allevia il bisogno di chi è malato e povero; se non sei caduto, soccorri chi è caduto e vive nella sofferenza; se sei lieto, consola chi è triste; se sei fortunato, aiuta chi è morso dalla sventura. Da’ a Dio una prova di riconoscenza, perché sei uno di quelli che possono beneficare, e non di quelli che hanno bisogno di essere beneficati … Sii ricco non solo di beni, ma anche di pietà; non solo di oro, ma di virtù, o meglio, di questa sola. Supera la fama del tuo prossimo mostrandoti più buono di tutti; renditi Dio per lo sventurato, imitando la misericordia di Dio» (ibid., 14,26).
Gregorio ci insegna anzitutto l’importanza e la necessità della preghiera. Egli afferma che «è necessario ricordarsi di Dio più spesso di quanto si respiri» (Discorso 27,4), perché la preghiera è l’incontro della sete di Dio con la nostra sete. Dio ha sete che noi abbiamo sete di Lui (cfr Discorso 40, 27). Nella preghiera noi dobbiamo rivolgere il nostro cuore a Dio, per consegnarci a Lui come offerta da purificare e trasformare. Nella preghiera noi vediamo tutto alla luce di Cristo, lasciamo cadere le nostre maschere e ci immergiamo nella verità e nell’ascolto di Dio, alimentando il fuoco dell’amore.
In una poesia, che è allo stesso tempo meditazione sullo scopo della vita e implicita invocazione a Dio, Gregorio scrive: «Hai un compito, anima mia, / un grande compito, se vuoi. / Scruta seriamente te stessa, / il tuo essere, il tuo destino; / donde vieni e dove dovrai posarti; / cerca di conoscere se è vita quella che vivi / o se c’è qualcosa di più. / Hai un compito, anima mia, / purifica, perciò, la tua vita: / considera, per favore, Dio e i suoi misteri, / indaga cosa c’era prima di questo universo / e che cosa esso è per te, / da dove è venuto, e quale sarà il suo destino. / Ecco il tuo compito, / anima mia, / purifica, perciò, la tua vita» (Poesie [storiche] 2,1,78). Continuamente il santo Vescovo chiede aiuto a Cristo, per essere rialzato e riprendere il cammino: «Sono stato deluso, o mio Cristo, / per il mio troppo presumere: / dalle altezze sono caduto molto in basso. / Ma rialzami di nuovo ora, poiché vedo / che da me stesso mi sono ingannato; / se troppo ancora confiderò in me stesso, / subito cadrò, e la caduta sarà fatale» (ibid., 2,1,67).
Gregorio, dunque, ha sentito il bisogno di avvicinarsi a Dio per superare la stanchezza del proprio io. Ha sperimentato lo slancio dell’anima, la vivacità di uno spirito sensibile e l’instabilità della felicità effimera. Per lui, nel dramma di una vita su cui pesava la coscienza della propria debolezza e della propria miseria, l’esperienza dell’amore di Dio ha sempre avuto il sopravvento. Hai un compito, anima – dice san Gregorio anche a noi –, il compito di trovare la vera luce, di trovare la vera altezza della tua vita. E la tua vita è incontrarti con Dio, che ha sete della nostra sete.





