Naso turato

Audio Omelie

10 Febbraio 2019

7 Febbraio 2016

V Domenica del Tempo Ordinario (anno C) – Commento alle letture per la Radio Vaticana


Al vedere questo, Simon Pietro si gettò alle ginocchia di Gesù, dicendo: «Signore, allontanati da me, perché sono un peccatore» Pietro compie questo gesto e dice queste parole dopo un’esperienza piena di Gesù. Dopo aver ascoltato a lungo la sua Parola sulla sua barca. Affascinato da queste parole obbedisce a un comando che va al di là di una logica immediata. C’è una Razionalità più profonda della logicità immediata. “So fare il mio mestiere, ma me lo stai chiedendo Tu e ti ho sentito parlare. Tu hai sconvolto il mio cuore.” Più fai esperienza positiva e forte di Cristo più conosci te stesso. Pietro non dice “Ho commesso dei peccati”, “ho fatto degli sbagli”, riconosce quello che è: “Io sono un peccatore”. Proprio come il pubblicano che stando in fondo al tempio dice: Abbi pietà di me che sono peccatore…. È lo stesso stupore di Matteo, di Zaccheo, di Maria Maddalena, di Francesco, di Filippo, di tutti i santi. San Paolo lo descrive con una frase ineguagliabile: Io so infatti che in me, cioè nella mia carne, non abita il bene; c’è in me il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo; infatti io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio. Romani 7,18-19 Questo di San Paolo e di tutti gli amici di Dio non è senso di colpa. Questa è conoscenza di sé. Costatazione della realtà. Senza questo grido la Misericordia di Dio è bloccata. Senza questo dramma realisticamente riconosciuto la Misericordia di Dio può essere anche gridata, ma lascia indifferenti.

Come risponde Dio a questa conoscenza? A questo doloroso, drammatico riconoscimento dell’uomo? Gesù disse a Simone: «Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini» Non ne parla, non lo sottolinea, da invece una missione. La Misericordia di Dio non si manifesta con una coccola, ma con una missione. Gesù si fida di un peccatore. Non gli dice come tanti finti maestri moderni: “Ma no! Non è vero, non sei così peccatore! Non buttarti giù! Tu vali!” Gli dice mi fido di te. Gli dice, ci dice, tu sarai. E in quel sarai, in quel non-temere, c’è la parola di Colui che vede più in profondità. Vede più in profondità del tuo essere peccatore. Non lo nega. Ti dice, senza dirtelo, fidandosi, che non sei il tuo peccato. Il peccato non è l’ultima parola. Dio ci usa, se glielo chiediamo, se lo vogliamo. Dio ha la Forza di usarci.

Due, allora, gli estremi da evitare. L’auto-giustificazione farisaica e l’apologia del peccato.

La prima punta su una bontà che sarebbe a portata delle forze dell’uomo, muscolare, da realizzare senza il perdono di Dio. L’ipocrisia di apparire giusti, a posto con Dio sapendo nel segreto di essere peccatori.
La seconda, a mio avviso oggi molto più diffusa tra i credenti, propone una visione di Dio paternalista e si accorda con il lassismo.

Dio perdona infinitamente chi si pente. Dio perdona l’uomo pentito non per coccolarlo teneramente e intimisticamente, ma per mandarlo a salvare dal male gli altri uomini. Non è un perdono chiudendo gli occhi, quasi turandosi il naso, ma per mandarci, per plasmarci, per usarci. Non è un perdono fine a sé stesso.

di Padre Maurizio Botta C.O.

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