Decapante

decapante2Audio Omelie

8 Settembre 2019

XXIII Domenica del Tempo Ordinario (anno C) – Commento alle letture per la Radio Vaticana


Per la misera condizione del superbo non c’è rimedio perché in lui è radicata la pianta del male.

Così il Siracide, ma chi è il superbo? Ho letto tempo fa su un blog una considerazione molto profonda riferita alle prestazioni di bontà impossibili di chi crede che santità sia “saltare”.

Chi si ostinerebbe a continuare a saltare per arrivare in alto dove a nessun uomo è dato giungere con le proprie forze? Quando ha la certezza che ci sarà un Padre che lo prenderà in braccio e lo condurrà ben oltre le stelle?

Superbo è, quindi, sicuramente chi si illude di essere buono, ma anche chi si scoraggia di poter diventare santo perché non arriva alla bontà con le sue sole forze. Abbandonarsi è per noi un cammino doloroso a causa della nostra superbia, del nostro orgoglio radice di tutti i peccati e allora diventiamo cinici, e cerchiamo negli altri il male godendone. Applicherei questa considerazione anche alla conoscenza di Dio.

Chi può immaginare cosa vuole il Signore? Quale, uomo può conoscere il volere di Dio?

Questa osservazione del libro della Sapienza sembrerebbe dar ragione alla finta umiltà moderna dell’agnostico: “Dio non si può conoscere. È orgoglio pretenderlo. Nessuno ha la verità in tasca su Dio”, ma è lo stesso libro che pochi versetti dopo  risponde alle domande retoriche iniziali dicendo,  chi avrebbe conosciuto il tuo volere, se tu non gli avessi dato la sapienza e dall’alto non gli avessi inviato il tuo santo spirito?

Noi cattolici non possediamo la Verità in tasca solo nel senso che non possiamo disporne, che non possiamo piegarla, non nel senso che la Verità di Dio non si sia svelata. Superbo è chi crede che Dio non si possa conoscere solo perché non si può arrivare a questa conoscenza con le proprie forze. Superbo è chi esclude, a causa di questa nostra incapacità naturale, che Dio ci sia e che si voglia far conoscere donando lui stesso la Sapienza necessaria.

Per noi, in questa ricezione dall’alto della sapienza, alle parole di Gesù, in questo è glorificato il Padre mio che portiate frutto e diventiate miei discepoli, fa eco l’imperativo celeste di Dio Padre: Ascoltatelo!

Decapante è il prodotto che passato sul legno o sul ferro aiuta a togliere con facilità  gli strati precedenti di vernice. La frase ripetuta oggi per tre volte da Gesù, non può essere mio discepolo, è decapante passato tre volte a rimuovere la vernice dell’illusione di un discepolato “facile”. Le parole di Gesù di questa sera hanno un intento chiarissimo ed eterno, valgono per  sempre.

L’avvenimento che spinge Gesù a parlare è questo: siccome molta gente andava con lui…

Gesù invita gli aspiranti discepoli a calcolare, a farsi i conti in tasca. Ricorda con onestà i termini della sua promessa. Occorre non sottovalutare, occorre non banalizzare l’impresa. Ben interpretare non può voler dire ridurre, accomodare, depotenziare la volontà di Cristo. Non tutti sono chiamati a essere discepoli. Ancora questa sera Gesù dimostra di non temere i piccoli numeri, non ha paura di rimanere solo, non vuole folle osannanti di discepoli inconsapevoli. Occorre ricordarci sempre che mentre la volontà di salvezza di Dio è universale e bruciante, il discepolato è una via stretta. Pochi discepoli uniti a Cristo scelti per la salvezza di tutti.

Guardiamo, allora, a queste tre condizioni poste dal Figlio di Dio.

Se uno non viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita

Condizione affettiva. Gesù pretende di essere l’affetto più grande. Vuole una relazione personale e vitale con i suoi discepoli. Sicuramente Gesù non incoraggia a voler male, a trattare male le persone  più care, ma comunque afferma con forza che per la vita del discepolo il rapporto con Lui è decisamente al primo posto. Il discepolo è un uomo definito da questa preferenza decisa per Cristo e per le priorità di Cristo.

Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me

Gesù dietro cui stare, ma carichi di una croce tutta nostra che c’è già. Croce già esistente in questo istante, non disgrazia incerta futura. Un primato affettivo, che porta in sé l’offerta quotidiana della sofferenza misteriosa causata da una croce diversa per ogni discepolo.

Chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi

Il vero discepolo ha fatto esperienza che Cristo è il tesoro nascosto nel campo, la perla preziosa, il Bene che rende relativo ogni altro bene. Tutte le realtà positive trovano nella Sua Presenza il giusto valore. Un valore relativo. Ci sono, ma potrebbero anche non esserci. Lui solo è assoluto.

di Padre Maurizio Botta C.O.

Facebooktwitterredditpinterestlinkedinmail