Audio Omelie
Vangelo Gv 6, 60-69
Dal vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, molti dei discepoli di Gesù, dopo aver ascoltato, dissero: «Questa parola è dura! Chi può ascoltarla?».
Gesù, sapendo dentro di sé che i suoi discepoli mormoravano riguardo a questo, disse loro: «Questo vi scandalizza? E se vedeste il Figlio dell’uomo salire là dov’era prima? È lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla; le parole che io vi ho detto sono spirito e sono vita. Ma tra voi vi sono alcuni che non credono».
Gesù infatti sapeva fin da principio chi erano quelli che non credevano e chi era colui che lo avrebbe tradito. E diceva: «Per questo vi ho detto che nessuno può venire a me, se non gli è concesso dal Padre».
Da quel momento molti dei suoi discepoli tornarono indietro e non andavano più con lui. Disse allora Gesù ai Dodici: «Volete andarvene anche voi?». Gli rispose Simon Pietro: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio».
Come regalo, a conclusione della lettura del capitolo 6 del Vangelo di Giovanni di questi giorni, alcune pagine tratte dalla Vita di Gesù Cristo di Don Giuseppe Ricciotti, un classico meraviglioso. Buona lettura, buon approfondimento!
Discorso sul pane vivo
Rabbi, quando sei venuto qua? (Giovanni, 6, 25).
- 378. Con questa domanda ha inizio il celebre discorso sul pane vivo, riportato dal solo Giovanni (6, 25-71): noi già sappiamo che questo metodo integrativo è proprio al IV vangelo nei confronti con i Sinottici (§ 164). Nel discorso ricompaiono tratti caratteristici a Giovanni, già rilevati nei due dialoghi di Gesù con Nicodemo e con la Samaritana: specialmente col dialogo della Samaritana (§ 294) il discorso sul pane vivo mostra varie affinità, anche di sviluppo logico. Tuttavia, analizzando minutamente la compagine del discorso stesso, appaiono qua e là delle saldature o riconnessioni che attestano un lavoro redazionale: se il Discorso della Montagna offrì ai due Sinottici che lo riportano, e specialmente a Matteo, occasione di esercitare la loro operosità redazionale (§ 317), un’eguale occasione fu colta e impiegata da Giovanni per il discorso sul pane vivo. In esso infatti si distinguono chiaramente tre parti: nella prima (6, 25-40) Gesù ha per interlocutori gli abitanti della regione di Cafarnao che avevano assistito alla moltiplicazione dei pani; nella seconda parte (6, 41-59) intervengono come interlocutori i Giudei, e in fondo una nota redazionale avverte che le precedenti parole di Gesù furono pronunziate nella sinagoga di Cafarnao; infine la terza parte (6, 60-71) riporta insieme con poche parole di Gesù vari fatti che furono conseguenze dei precedenti ragionamenti, le quali conseguenze non avvennero immediatamente ma richiesero senza dubbio un tempo più o meno lungo per svilupparsi. Dunque il discorso, quale oggi l’abbiamo, è una “composizione”, la quale ha unito con un nucleo cronologicamente compatto altre sentenze di Gesù cronologicamente staccate ma riconnesse con quel nucleo dall’analogia dell’argomento: questa maniera di « composizione », in parte cronologica è in parte logica, era usuale alla “catechesi” di Giovanni non meno che a quella degli altri Apostoli, e gli antichi Padri o espositori l’hanno riconosciuta ed ammessa ben prima degli studiosi recentissimi (§ § 317, nota; 360, nota prima; 415, nota).
- 379. La prima parte del discorso avviene a Cafarnao, ma fuori della sinagoga. Coloro che ricercano Gesù l’incontrano, forse per istrada, e gli rivolgono la suddetta domanda: Quando sei venuto qua? La mira segreta è ben altra. Gesù, riferendosi alla mira segreta e avvicinandosi alla sostanza della questione, risponde: in verità, in verità vi dico, mi cercate non già perché vedeste segni, bensì perché mangiaste dai pani e foste satollati. I segni erano i miracoli fatti da Gesù a comprova della sua missione, e in tanto sarebbero stati efficaci come segni in quanto avessero indotto gli spettatori ad accettare quella missione: e invece quegli abitanti di Cafarnao che parlavano con Gesù erano stati spettatori di molti miracoli ma non li avevano accettati come segni, avevano goduto del beneficio materiale ma non avevano accolto il beneficio spirituale; ultimamente avevano mangiato il pane miracoloso ma subito appresso si erano infervorati per il regno politico del Messia. Perciò Gesù prosegue: Producetevi non già il nutrimento che perisce, bensì il nutrimento permanente in vita eterna il quale vi darà il figlio dell’uomo: costui infatti il Padre, Iddio, segnò del suo sigillo. Il sigillo era lo strumento più importante nella cancelleria d’un re. Quegli ascoltatori di Gesù avevano tentato, poco prima, di eleggere Gesù “re”; ma qual re sarebbe stato egli dopo siffatta elezione? Donde la sua autorità regale? La sua autorità egli l’aveva ricevuta, non da uomini, ma dal Padre, Iddio. Gl’interlocutori replicano: Che dobbiamo fare per produrre le opere d’iddio? e con questa domanda si riferiscono chiaramente all’esortazione di Gesù di produrre… il nutrimento permanente in vita eterna. Gesù risponde Questa è l’opera di Dio, che crediate in chi egli inviò; che crediate cioè in lui anche quando la sua parola delude le vostre speranze e fa svanire i vostri sogni, che crediate nel suo regno anche se è la negazione totale del vostro regno. Insistettero gli altri: Qual segno fai dunque tu, affinché vediamo e crediamo in te? Che produci? I padri nostri mangiarono la manna nel deserto, conforme a ciò che sta scritto:”Pane del cielo dette loro da mangiare” (Esodo, 16, 4; Salmo, 78, 24). L’allusione mirava a due termini e li contrapponeva fra loro: da una parte l’opera di Mosè e il suo “segno”, quello d’aver fatto scendere la manna dal cielo; dall’altra parte, l’opera di Gesù e il suo recentissimo “segno”, quello d’aver moltiplicato i pani a Bethsaida. Fra i due termini del confronto, gl’interlocutori mostrano di preferire l’opera e il “segno” di Mosè all’opera e al “segno” di Gesù; gli altri “segni” di Gesù non sono neppur chiamati in causa, quasicché non avessero alcuna efficacia dimostrativa riguardo alla fede e quasi per dar ragione alle prime parole di Gesù, mi cercate non già perché vedeste segni, bensì perché mangiaste dai pani e foste satollati. Gesù ad ogni modo è riprovato e posposto a Mosè: se egli vuole ottenere fede nel suo invisibile e impalpabile “regno”, faccia dei “segni” almeno eguali a quelli di Mosè.
- 380. La discussione è giunta ad un bivio, e bisogna decidersi fra i due termini del confronto: da una parte Mosè e la sua opera, dall’altra parte Gesù e il suo “regno”. Quale di questi due termini è superiore? Qui sta il nodo della questione, e Gesù l’affronta in pieno: In verità, in verita vi dico, non già Mose’ vi ha dato il pane dal cielo, bensi il Padre mio vi dà il pane dal cielo, quello vero; il pane d’iddio infatti e’ colui che discende dal cielo e dà vita al mondo.Il giudizio dato dagli interlocutori è capovolto: dei due termini del confronto Gesù è tanto superiore a Mosè quanto il cielo è superiore alla terra; Gesù, non già Mosè, discende dal cielo e dà vita al mondo, egli è veramente il pane dal cielo. L’esposizione è interrotta un istante da un’esclamazione degl’interlocutori: Signore, dacci sempre questo pane!; la quale esclamazione è gemella di quella della Samaritana riguardo all’acqua, e dimostra che in un caso e nell’altro si pensava ad oggetti materiali. Replicò Gesù: lo sono il pane della vita; chi viene a me non sentirà fame, e chi crede in me non sentirà sete giammai. Ma io vi dissi che e mi avete veduto e non credete. Con altre affermazioni di Gesù (Giov., 6, 37-40) si chiuse questo primo incontro.
- 381. Dell’incontro e delle affermazioni di Gesù si dovette parlar molto in paese, anche con desiderio di avere spiegazioni in proposito e di offrire a Gesù opportunità di darle. Probabilmente i fatti si svolsero come a Nazareth (§ 358), e fu offerta a Gesù occasione di spiegarsi nella prima riunione sinagogale che si tenne in paese, perché le nuove dichiarazioni furono fatte da lui insegnando nella sinagoga in Cafarnao (6, 59). Se però è detto, a principio di questa nuova parte del discorso, che i Giudei mormoravano di lui, non è necessario supporre che un gruppo di accaniti Farisei fossero giunti apposta dalla Giudea per dar battaglia a Gesù i Giudei, nello stile di Giovanni, sono in genere i connazionali di Gesù che hanno respinto l’insegnamento di lui. Questi Giudei pertanto mormoravano di Gesù perché disse: « Io sono il pane disceso dal cielo »; e dicevano: « Non e’ costui Gesu’ il figlio di Giuseppe, di cui conosciamo il padre e la madre? Come adesso dice: “Dal cielo sono disceso”?. Gesù, dopo alcune considerazioni più ampie, torna sulla precedente questione del pane: Io sono il pane della vita. I vostri padri mangiarono nel deserto la manna e morirono; (invece) questo e’ il pane discendente dal cielo, affinché taluno mangi di esso e non muoia. Io sono il pane vivente, il disceso dal cielo: se alcuno mangi di questo pane, vivrà in eterno; e il pane poi che io darò, é la mia carne per la vita del mondo. Al suono di tali parole i Giudei, mal disposti quali erano, avevano da strabiliare ben più che Nicodemo e la Samaritana. Se a questi due antichi interlocutori Gesù aveva parlato di “rinascita dallo Spirito” e di “acqua zampillante in vita eterna”, siffatte espressioni potevano a prima vista intendersi in senso simbolico: come in senso simbolico poteva intendersi adesso l’espressione “pane di vita” la prima volta che Gesù l’aveva impiegata ed applicata a se stesso. Ma Gesù non si era limitato a quella prima volta; egli era tornato sopra quella espressione e, quasi per escludere a bella posta l’interpretazione simbolica, aveva affermato che quel pane era “la sua carne” data per la vita del mondo. Questa precisazione non era tollerabile in un parlare metaforico: parlando della sua “carne-pane”, Gesù non si esprimeva simbolicamente. Così ragionarono, con perfetta logica, gli uditori della sinagoga di Cafarnao, i quali perciò si dettero a discuter fra loro: Come può darci costui la (sua) carne da mangiare? Il momento era davvero decisivo e solenne; a Gesù spettava in quel momento di precisare ancor meglio la sua intenzione, esprimendo con limpidezza cristallina se le sue parole dovevano esser interpretate come metaforiche ovvero come piane e reali.
- 382. La limpidezza cristallina si ebbe. Gesù, udita la discussione degli uditori, soggiunse: In verità, in verità vi dico, se non mangiate la carne del figlio dell’uomo e beviate il sangue di lui, non avete vita in voi stessi. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha vita eterna, e io lo risusciterò all’estremo giorno. La carne mia infatti è vero nutrimento, e il sangue mio è vera bevanda; chi mangia la mia carne e beve il mio sangue in me rimane, e io in lui. Come inviò me il Padre vivente e io vivo per il Padre, (così) anche chi mangia me, egli pure vivrà per me. Questo è il pane disceso dal cielo; non (avverrà) come (a) i padri (vostri che) mangiarono (manna) e morirono: chi mangia questo pane, vivrà in eterno. Ascoltate queste spiegazioni, gli uditori non ebbero più il minimo dubbio; né, in realtà, avrebbero potuto averlo. Le parole ascoltate saranno state dure quanto si vuole, ma più chiare e precise di cosi’ non potevano essere; Gesù aveva nettamente e ripetutamente affermato che la sua carne era vero cibo e il suo sangue vera bevanda, e che per avere vita eterna bisognava mangiare di quella carne e bere di quel sangue. Non era possibile equivocare. Non equivocarono infatti gli ostili Giudei, che videro confermata la loro prima interpretazione; non equivocarono neppure molti dei discepoli stessi di Gesù, che trovarono scandalo in quelle parole. Molti pertanto dei discepoli di lui, avendo ascoltato, dissero:”Duro è questo discorso; chi può ascoltarlo?”. L’aggettivo duro qui vale quasi per “ripugnante”, “stomachevole”, tanto che non si può ascoltarlo senza un certo ribrezzo. Evidentemente si era pensato ad un banchetto da antropofagi. Gesù in realtà non aveva precisato la maniera in cui si sarebbe mangiata la sua carne e bevuto il suo sangue; ma perfino davanti alla possibilità dell’interpretazione antropofaga e dello scandalo, egli non retrocedette d’un sol passo e non ritirò una sola parola. Sapendo che i suoi discepoli mormorano di ciò, disse loro: Ciò vi scandalizza? Se dunque contempliate il figlio dell’uomo che risale dov’era prima? Lo spirito è il vivificante, la carne non giova a nulla; i detti ch’io ho parlati a voi sono spirito sono vita. L’ultimo periodo fu ritenuto sufficiente da Gesù per dissipare il timore del banchetto da antropofagi: i suoi detti erano spirito e vita. Ma gli stessi detti conservavano il loro pieno valore letterale, senza traslati metaforici; l’indispensabile era aver fede in lui, e l’ultimo argomento di tale fede sarebbe stato contemplare il figlio dell’uomo risalente al cielo, donde era disceso quale pane vivente. Pane celestiale, carne celestiale. Chi avesse avuto tale fede, avrebbe visto in che maniera si poteva veramente mangiar la carne di lui e bere il suo sangue senza ombra di antropofagia.
- 383. La reazione dei discepoli al discorso udito, nonostante le spiegazioni aggiuntevi da Gesù, non fu soltanto verbale: da questo (tempo in poi) molti dei suoi discepoli si ritrassero addietro e non camminavano più con lui. Avvenne dunque una defezione, che allontanò da Gesù molti dei suoi discepoli; i dodici apostoli invece rimasero fedeli. Un giorno, quando la defezione era già assai progredita, Gesù disse ai dodici:”Anche voi forse volete andarvene?”. Gli rispose Simone Pietro: « Signore, da chi andremo? Parole di vita eterna (tu) hai; e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il santo d’Iddio » (Giovanni, 6, 67-69). Non è fortuita in uno scrittore quale Giovanni quella consecuzione di pensiero, secondo cui i dodici avevano creduto e poi conosciuto. Su questo argomento Giovanni non torna più, e l’annunzio del pane di vita non risulta attuato in tutto il resto del suo vangelo, perché egli sarà il solo evangelista che non racconterà l’istituzione dell’Eucaristia alla vigilia della morte di Gesù. Ma appunto in questa sua omissione sta la più chiara indicazione che l’annunzio è stato attuato nella forma spirituale predetta. Giovanni omette l’istituzione dell’Eucaristia perché già narrata da tutti e tre i Sinottici e già notissima agli uditori della sua catechesi (§ 165); ha invece narrato l’annunzio, perché i Sinottici l’avevano omesso (§ 164).
Giuseppe Ricciotti, Vita di Gesù Cristo, n. 378-383





