Audio Omelie
IV Domenica di Pasqua (anno A) – Commento alle letture per la Radio Vaticana
Esploriamo le immagini di cui parla Gesù questa sera.
Protagonista è un recinto per le pecore dotato di una porta. La porta custodita da un guardiano è l’accesso naturale a questo recinto L’ingresso largo, quello sicuro. Si entra nel recinto per essere protetti, si esce solo dietro al pastore per trovare erba, per pascolare, per vivere. Il pastore cammina davanti alle pecore e le pecore lo seguono con docilità perché nelle interminabili ore di silenzio l’unica voce sentita è stata la sua. Ma prima della voce c’è stato lo sguardo. Per il pastore le pecore non sono merce, oggetti indistinti, lui le conosce singolarmente per nome. La pecora riconosce la voce del pastore perché prima per ore è stata guardata e la voce che la chiama è la voce di qualcuno da cui lei si sente riconosciuta. Il ladro e il brigante non possono entrare dalla porta principale, scavalcano. Ma soprattutto non possono far uscire le pecore da quella porta. Le devono catturare con lacci, funi perché a loro non si avvicinano. Poi o le uccidono subito buttando al di là del recinto un cadavere di pecora, oppure le spingono sotto il recinto ferendole terribilmente, o le gettano vive dall’altra parte spezzando loro le gambe. Ma comunque le fanno uscire non per trovare la vita di un pascolo, ma per trovare la morte di un macellaio. Al ladro interessa la carne morta di una pecora morta, la lana staccata da un corpo senza vita, perché viva non potrà farla uscire agevolmente. Basterebbe questo per costruire un trattato sull’amore.
Vi leggo a questo proposito un passo del gesuita irlandese Michael Paul Gallagher che mi è stato donato in queste ore. È una riflessione a partire da una frase di Balthasar.
Dopo che una madre ha sorriso per un po’ al suo bambino, egli comincerà a sorridere a sua volta; la madre ha destato l’amore nel suo cuore (LA, p. 61).
“In vari momenti della mia vita sono ricorso a un semplice esempio umano per illustrare la natura della fede cristiana: ho chiesto ai miei lettori di riflettere sul primo sorriso di un bambino. I genitori, in particolare, ricorderanno chiaramente questo momento normalissimo e magico allo stesso tempo, che di solito non arriva prima del secondo mese. Perché il verificarsi di questo evento mi è sembrato così importante? Perché è un simbolo perfetto della struttura della fede. Quel primo sorriso è la risposta a un dono già ricevuto. L’amore che ha dato il benvenuto nella vita al bambino è ora riconosciuto, e il sorriso è l’espressione del riconoscimento. L’aggettivo ‘infantile’, si sa, viene dal latino infans, che significa ‘colui che (ancora) non parla’, e infatti siamo ancora lontani dal giorno in cui quel bambino sarà in grado di pronunciare una parola. Nondimeno, il sorriso è già un modo di esprimere meraviglia, gratitudine e, aggiungerei, libertà, una prova che l’amore non solo è riconosciuto, ma anche trasformato in risposta.” Mappe della fede, V&P 2011, pp. 69-85
Riconosceremo il volto, riconosceremo l’amore, riconosceremo la parola del Pastore solo nel silenzio prolungato, senza intrusioni di altre voci. Quanta differenza tra la dolcezza del Pastore e la brutalità di queste altre voci. Quanta differenza tra il pascolo di Vita a cui Lui ti conduce uscendo tranquillamente dalla porta principale e i lacci, le escoriazioni, le ferite generate da un ladro entrato di nascosto, in segreto, furtivamente nella tua vita.
di Padre Maurizio Botta C.O.





