Audio Omelie
Lo scrittore Gerardo Ferrara, ispirato da questo Vangelo, scrisse qualche anno fa un bel romanzo intitolato “L’assassino di mio fratello”, pieno di amore per il popolo di Israele e per la sua tradizione. Uno dei pregi del romanzo, oltre alla precisissima ricostruzione storica, è quello di esplorare il cuore e la mente di questo fratello maggiore del racconto evangelico. Nei commenti a questa parabola si misura tristemente fino a che punto si possa spingere la pigrizia. Particolari decisivi sono ridotti o addirittura dimenticati. Il fratello minore definito da Gesù come uno che ritorna dalla morte, un perduto, è presentato inesorabilmente come quello “simpatico”. Il padre è troppo spesso descritto come una figura di una bontà così paternalistica da diventare noioso, scontato. Ma in tutti questi commenti svogliati c’è un’altra costante, il fratello maggiore è inesorabilmente il cattivo. Il personaggio negativo. È vero che Gesù racconta questa parabola per correggere i farisei con cui ebbe in tutto il Vangelo gli scontri più aspri, ma come descrive veramente questo primogenito? Il padre, che lascia andare e non insegue il figlio minore, che pure sta andando ad abbracciare la morte, esce invece per andare a supplicare il figlio maggiore. Quando mai ci si ferma su questa parola? Esce e supplica e gli dice una parola stupenda: “Tu sei sempre con me, ciò che è mio è tuo”. Il padre riconosce la grandezza della vita di quel suo figlio. Immoralità e moralità non sono sullo stesso piano. Dio Padre rimane giusto e valuta con giustizia. L’accoglienza totale del figlio che ritorna non gli fa perdere attenzioni e amore per il figlio che è sempre restato fedele e obbediente a casa. Non c’è nessuna asprezza in questa parabola contro il fratello maggiore. L’atteggiamento di molti è distante anni luce da quello del Padre. Il Padre attende il ritorno, un ritorno doloroso che porta in sé una presa di coscienza se non dell’errore almeno della differenza tra la casa del padre e il bordello zeppo di finti amori e finte amicizie. Non sappiamo se il fratello maggiore entrò, ma questa sera il Vangelo ci autorizza a spezzare una lancia a suo favore. Perché i due fratelli in realtà sono vicinissimi, opposti nel comportamento morale, ma vicinissimi nella distanza dal conoscere il cuore del padre. Nessuno dei due conosce suo padre. Esprimono entrambi la ribellione di chi vorrebbe festeggiare e crede che il padre non voglia la festa, quando loro padre è l’unico ad invitare alla festa. Entrambi sono incapaci di festa, sono accomunati dalla tristezza. Tristezze differenti, ma tristezze. Figli capaci, come noi, solo di allegrie smodate che si chiudono drammaticamente o di recriminazioni arrabbiate. Tutti e due hanno un sospetto e una paura descritte benissimo qualche anno fa da Papa Benedetto XVI.
Non abbiamo forse tutti in qualche modo paura – se lasciamo entrare Cristo totalmente dentro di noi, se ci apriamo totalmente a lui – paura che Egli possa portar via qualcosa della nostra vita? Non abbiamo forse paura di rinunciare a qualcosa di grande, di unico, che rende la vita così bella? Non rischiamo di trovarci poi nell’angustia e privati della libertà?
Emerge, allora, profondamente la solitudine amorosa di questo padre, non conosciuto dai suoi stessi figli. È commovente la voce di domenica scorsa del Padre che è nei cieli: Ecco il Mio Figlio amatissimo: ascoltatelo! Il Figlio Amatissimo racconta una parabola che descrive il cuore di quel Padre celeste che solo Lui conosce. Se vogliamo Gesù è qui anche questa sera per trascinarci al di là del sospetto e della paura, per diventare in Lui totalmente figli. In Lui che è il Figlio Amatissimo del Padre Suo.
di Padre Maurizio Botta C.O.





