Sbuffare (02/10/2016)

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Audio Omelie

6 Ottobre 2019

XXVII Domenica del Tempo Ordinario (anno C) – Commento alle letture per la Radio Vaticana


Oggi sono rimasto ore su queste parole di Gesù, a meditarle, ruminarle, rimugginarle. Cercando di capire il senso di quelle risposte, il senso di questo raccontino sul servo che torna dai campi. Chiaro è che Gesù vuole correggere i suoi discepoli per quella richiesta: aumenta la nostra fede! Questa richiesta non è stata accolta da Gesù con entusiasmo. Non li incoraggia, non dice che è una richiesta buona da fare. Li corregge nella loro visuale. Perché? C’è una lamentela dietro questa richiesta, uno sbuffare e a veder bene questo sbuffare, questo lamentarsi è in tutte le letture. Guardiamo insieme.

Sbuffa Abacuc a causa delle prove a cui lo costringe la missione profetica impostagli da Dio. Fino a quando, Signore, implorerò aiuto e non ascolti,  a te alzerò il grido: «Violenza!» e non salvi?  Perché mi fai vedere l’iniquità e resti spettatore dell’oppressione?  Ho davanti a me rapina e violenza e ci sono liti e si muovono contese. Paolo sbuffa per le timidezze di Timoteo. Non vergognarti  di dare testimonianza al Signore nostro, né di me, che sono in carcere per lui; ma, con la forza di Dio, soffri con me per il Vangelo.

Tornando al Vangelo, chiediamoci, cosa aveva detto Gesù immediatamente prima per suscitare questa frase religiosa aumenta la nostra fede!, ma che è un po’ lamentosa, un pio sbuffare? State attenti a voi stessi! Se un tuo fratello pecca, rimproveralo; ma se si pente, perdonagli. E se pecca sette volte al giorno contro di te e sette volte ti dice: Mi pento, tu gli perdonerai».  Lc 17,3-4

Quel aumenta la nostra fede suonò a Gesù  come una lamentela, come un sospirone, come a dire “pensaci tu perché questa cosa di perdonare è un servizio impossibile”. Gesù lo percepì come uno scansare quello che dipende da noi, un relativizzare le sue parole a causa della nostra voglia di non-perdonare. Chiedere l’intervento di Dio per quello che invece è il pane che dobbiamo mettere noi. Per quello che dobbiamo soffrire noi. Per quelle prove che sono necessarie perché la purificazione sia compiuta. Non il dire “Tu me lo chiedi quindi è possibile, tu mi darai la forza”, ma pensare Dio come un servo che dopo un perdono iniziale da noi concesso al fratello renda subito tutto piacevole, facile. Gesù chiama questo perdono richiesto ai discepoli servizio e a chi chiede a Dio di perdonare anche solo con un briciolo di fede è concesso di perdonare così. Pretendere che questa capacità donata da Dio sia accompagnata da istantanei sentimenti di perdono, di dolcezza nei confronti dei fratelli è come voler essere creditori nei confronti di Dio ricevendo subito il sollievo, la consolazione e il gusto per quello che abbiamo fatto. Gesù, su questo punto,   rimette a posto i suoi discepoli. Li corregge. Di fede ne basta pochissima perché l’onnipotenza di Dio è smisurata. Il problema è il presumere di avere crediti su Dio a causa di qualche servizio svolto per Lui, che Dio sia nostro debitore a causa dei nostri primi tentativi di perdono. Per quel che riguarda noi, restiamo servi. Fede è perdonare tutto quello che ci è stato ordinato di perdonare, dicendo poi di aver fatto solo quello che dovevamo fare. Questo è chiesto a noi. E Dio? Avrà forse gratitudine verso quel servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti? Si ! Beati quei servi il che padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità vi dico, si cingerà le sue vesti, li farà mettere a tavola e passerà a servirli. Lc 12,37 Ma è questa l’incredibile rivelazione di Gesù, del Figlio. Dio che si mette a servire l’uomo. Un Dono appunto, mai un diritto.

di Padre Maurizio Botta C.O.

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