Incandescenti Inafferrabili

17-ragazzePer me l’adolescenza è lava. Sì, quella roba lì, lava di vulcano: cova sotto la crosta, ribolle, ogni tanto si manifesta con fumosi sbuffi di calore, se tracima poi sono guai. Distrugge. E’ bene tenerla perennemente sotto osservazione. Mi piace osservarla, diciamo che sono costretto.

Non mi limito infatti a ricordare la mia adolescenza, quella vissuta nell’ambito della mia famiglia di origine dove ci sono stati esiti durissimi, purtroppo tragici. Da anni affronto da padre l’adolescenza di mia figlia, che va per i diciannove e a giugno ha l’esame di maturità. Un traguardo che di solito segna la fine del periodo adolescenziale, la “maturità” dovrebbe a quel punto insediarsi, ma viviamo un tempo in cui l’incandescenza magmatica propria della lava viene considerata, a torto, una condizione da preservare. Io stesso, che da quasi due decenni sono padre, mi abbarbico a tratti attorno a una curiosa sindrome di Peter Pan che insieme ricerco e detesto.

Sono curioso di ascoltare cosa si dirà il 12 dicembre, perché gli adolescenti sono davvero belli e ribelli. Forse, meglio ancora, belli se ribelli. L’adolescenza quieta non ho avuto il privilegio di ammirarla né in me né nelle mie immediate vicinanze, dunque sono stato quasi costretto ad innamorarmi dell’irrequietezza di questi incandescenti inafferrabili. La lava del vulcano che erutta è anche bella da vedere. Da lontano. Per chi sta nelle vicinanze possono essere guai.

Sono stato un adolescente ribelle, mia figlia non ne parliamo, mia sorella ha dato alla questione dell’inafferrabilità un significato fisicamente tragico e tremendo. Ho visto nelle adolescenze attraversate l’affacciarsi del senso e il trionfo del non senso. Non noto enormi differenze tra la condizione di spirito di noi teenager di fine Anni Ottanta e di quelli del Terzo Millennio. Siamo tutti alla ricerca spasmodica di qualcosa che ci riempia il cuore.

Questi belli, ribelli, incandescenti, inafferrabili chiedono due cose: certezze e identità. Sono personaggi pirandelliani, uno nessuno centomila, ma hanno un solo desiderio: consistere. Uscire dalla condizione magmatica, diventare consistenti. La lava è roccia fusa. Quando finisce la sua corsa giù per le pendici del vulcano, roccia ridiventa.

Lo iato che questi ragazzi misurano tra il proprio essere e il proprio voler essere può diventare causa di progettualità o di disperazione. Io non ho capito ancora bene come fare per dare a mia figlia strumenti che riducano questa distanza che anche lei misura dentro se stessa. Vengo alla catechesi per trovare qualche idea ben confezionata. Che si fa? Si limitano le ambizioni? Si insegna realismo? Si sostengono i sogni, che pure sono sempre acerbi e spesso irrealizzabili, per non tarpare le ali? Si accetta la ribellione? La si incentiva anche memori di quanto siamo stati ribelli noi e di quanto abbiamo fatto dannare i nostri genitori? Non si fa nulla? Si aspetta la fine delle “crisi adolescenziali”, facciamo che “ci pensa la vita”?

Non lo so. Ho tanti punti interrogativi. Alla fine della sua inquietissima adolescenza mia sorella Ielma ha giocato una terrificante partita a scacchi con chi le voleva bene e non si è fatta afferrare da chi è arrivato con un secondo di ritardo davanti ad una mortifera finestra aperta. Al capolinea (fittizio?) dell’esame che dall’adolescenza dovrebbe traghettarla nella maturità mia figlia arriva con un bagaglio pieno di ambizioni e sogni, la maggior parte dei quali probabilmente irrealizzabili, ma ricca dell’entusiasmo necessario per coltivarli almeno per un po’. Io mi ricordo adolescente in tumulto, giovane “uomo in rivolta” che leggeva Camus, oggi serenamente consapevole di non avere alcuna nostalgia di quei lunghi anni faticosi, incandescenti e magmatici. Guardo gli amici di mia figlia, mi ricordo dei miei e capisco che l’ambizione di annullare la distanza tra il proprio essere e il proprio voler essere è un’ambizione quasi insana. Ma agli adolescenti è forse giusto non dirlo. Sono belli (e ribelli) anche perché la coltivano, ognuno a suo modo, nella loro irrequietezza ribelle.

Si sentono come il Sisifo di Camus che tanto mi ha convinto da ragazzo, schiacciati da un masso da portare sulle spalle su per la montagna sapendo con certezza che una volta arrivati in cima rotolerà giù. Ridiscendono il crinale per ricominciare lo sforzo, lo ridiscendono con la velocità della lava incandescente, negli occhi uno sguardo di sfida. E’ la sfida che può riempire il cuore di un ragazzo: quella contro il non senso anche quando il non senso, l’assurdo, sembra spadroneggiare.

Se negli occhi di un ragazzo stanco e annoiato sappiamo accendere quello sguardo di sfida al non senso lo vedremo presto o tardi consistere, da lava (ri)diventare roccia. In quella consistenza il bell’adolescente, incandescente e ribelle, troverà serenità.

Bisogna fargli immaginare Sisifo felice.

Mario Adinolfi
per cinquepassi.org

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