Schiaffi

Audio Omelie

10 Settembre 2017

Commento alle letture della XXIII  Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) di P. Maurizio Botta per la Radio Vaticana


Ogni parola del Vangelo deve essere integrata e armonizzata con tutte le altre sullo stesso argomento. E non dimentichiamo che spesso queste parole sono rivolte ai soli discepoli. Gesù con un’immagine aveva moderato la nostra tendenza istintiva e feroce a giudicare.

Come potrai dire al tuo fratello: permetti che tolga la pagliuzza dal tuo occhio, mentre nell’occhio tuo c’è la trave? Ipocrita, togli prima la trave dal tuo occhio e poi ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello.

Con la preghiera, il silenzio, l’attesa del momento opportuno datoci da Dio, riconosciamo che alcune pretese correzioni dei difetti altrui non sono altro che giudizi impazienti.

Un conto poi è un difetto, un peccato generale di un nostro fratello contro altri fratelli, un conto è quando un fratello pecca contro di me. A questo solo caso specifico si riferiscono le parole di Gesù di oggi sulla correzione fraterna, quando un fratello pecca contro di te….

Gesù denuncia, in primo luogo, il nostro non voler mai arrivare a parlare in modo franco. Quando un fratello pecca contro di noi, se noi non abbiamo la serenità per parlargli di persona occorre pregare, soffrendo nel silenzio, attendendo la libertà interiore per poterlo fare. Istintivamente, invece, preferiremmo la lamentela con tutti alle spalle dell’interessato piuttosto che l’attesa del momento opportuno di una correzione leale faccia a faccia. Per paura dell’uomo fatto di carne o per quieto vivere magari tacciamo, ma con il veleno di un giudizio che non riesce a non esplodere alle spalle. Papa Francesco qualche anno fa aveva sinteticamente parlato di disinformazione, diffamazione e calunnia come schiaffi a Gesù. La disinformazione, è quando «diciamo soltanto la metà che ci conviene e non l’altra metà; l’altra metà non la diciamo perché non è conveniente per noi». La diffamazione è quando «una persona davvero ha un difetto, ne ha fatta una grossa»  e come giornalisti raccontiamo tutto rovinando la fama di quel fratello. La terza è la calunnia: «dire cose che non sono vere. Questo è proprio ammazzare il fratello!». Disinformazione, diffamazione e calunnia, ci dice il Papa, «sono peccato! Questo è peccato! Questo è dare uno schiaffo a Gesù»  

Gesù ci chiede, in secondo luogo, la gradualità. Per impazienza, siamo sempre portati a saltare i gradi di una correzione progressiva che cresce di intensità con il tempo coinvolgendo sempre più fratelli.

Un test allora. Abbiamo la disponibilità ad aspettare nella correzione o abbiamo fretta di vuotare il sacco? Come sono i sentimenti nei confronti della persona che dobbiamo correggere? Ce l’abbiamo con il peccato o con il peccatore? Se sentiamo un certo piacere a correggere, diceva sempre qualche anno fa il Papa quello è il momento di «stare attenti, perché quello non è del Signore». Infatti «nel Signore sempre c’è la croce, la difficoltà di fare una cosa buona. E dal Signore vengono sempre amore e mitezza».

Quel gigante di San Tommaso ricorda poi con il suo santo equilibrio che la correzione fraterna è un atto di carità, ma ordinato all’emendamento dei fratelli. Perciò essa è di precetto in quanto è necessaria a questo fine, e non nel senso che si debba correggere il fratello che sbaglia in qualsiasi luogo e in qualsiasi tempo. Quando si giudica probabile che il peccatore non accetterà l’ammonizione, ma farà peggio, si deve desistere dal correggerlo.

di Padre Maurizio Botta C.O.


Rimanendo sul tema dell’omelia un meraviglioso passo di San Francesco di Sales sullo “sparlare” degli altri.

La carità nelle conversazioni

Il maldicente, con un sol colpo di lingua, cagiona di solito tre morti: uccide spiritualmente l’anima propria e quella di chi lo ascolta toglie la vita a colui del quale sparla, perché, come diceva San Bernardo , sia chi sparla sia chi ascolta il maldicente, hanno entrambi il demonio addosso, ma il primo ce l’ha nella lingua, l’altro nelle orecchie. Davide, parlando dei calunniatori, dice così: Aguzzano la lingua come serpenti . Il serpente, al dir di Aristotele , ha la lingua aguzza e biforcuta, e tale è quella del maldicente, il quale, con un colpo solo, morde ed avvelena l’orecchio di chi ascolta e la reputazione della persona di cui parla.

Vi scongiuro quindi, Filotea carissima, di non sparlar mai di nessuno, né direttamente né indirettamente: guardatevi sia dall’attribuire falsi delitti e peccati al prossimo, sia dal portare alla luce quelli che sono segreti, sia dall’ingigantire quelli che sono manifesti, sia dall’interpretare in malafede un’opera buona, sia dal negare il bene che sapete esistere in qualcuno, sia dal dissimularlo maliziosamente, sia dallo sminuirlo con parole, poiché in tutti questi modi offendereste profondamente Dio, soprattutto perché accusereste falsamente e neghereste la verità a danno del prossimo. E’ doppiamente peccato, infatti, mentire recando nello stesso tempo danno al prossimo. Quelli che per sparlare fanno graziosi preamboli o inframmezzano piccole smancerie e battute sono i maldicenti più fini e velenosi di tutti. Premetto – dice questa gente nel parlar male di qualcuno – che gli voglio bene e che in fondo è una brava persona, però bisogna dire la verità: ha fatto male a commettere quell’azione così riprovevole; oppure: è una ragazza davvero virtuosa, ma è stata sorpresa a fare la tal cosa; e simili stratagemmi. Non vedete quale artificio v’è in questo? Chi tira con l’arco tende sempre di più la freccia verso di sé, ma solamente per scoccarla con maggiore potenza e così è di tali persone: tirano la maldicenza verso di sé, ma solo per lanciarla con maggior forza, perché penetri più a fondo possibile nei cuori di chi ascolta.

La maldicenza proferita in forma di arguzia, poi, è la più crudele di tutte. E’ un po’ come la cicuta, che presa da sola non è un veleno assai potente, anzi molto lento e cui si può facilmente porre rimedio, ma se assunta insieme al vino è fatale; così è la maldicenza: da sola pare entrare da un orecchio per uscire rapidamente – come si suol dire – dall’altro, ma si imprime fermamente nel cervello di chi l’ascolta quando viene presentata sotto il velo di qualche sottile e spiritosa espressione. Veleno d’aspide è sotto le loro labbra , dice ancora Davide. Il morso dell’aspide è pressoché impercettibile e il suo veleno produce dapprima un prurito non fastidioso, per cui il cuore e le viscere, dilatandosi, ricevono il veleno, contro il quale poi non v’è più alcun rimedio.

Introduzione alla vita devota, III, 29

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